Una passione per la musica che ha radici lontane quella di Giovanni Costantini, violoncellista, direttore d’orchestra, docente e formatore, “padre” del progetto ANIMA, che lo vede protagonista insieme all’amico liutaio Gianmaria Stelzer.
Le tue origini non sono trentine, eppure sei molto legato a questo territorio, in particolar modo a quello di Lavarone. Da dove nasce questa speciale connessione?
Sono di Vicenza, ma ho sempre frequentato il Trentino e la zona di Lavarone quando da piccolo ci venivo in vacanza con la mia famiglia. Possiamo dire quindi che il primo approccio a Lavarone è stato turistico.
E il “secondo” approccio?
Quando ho iniziato ad appassionarmi alla musica, tanto da farne poi un lavoro, ho sentito il bisogno di allontanarmi sempre più spesso dalla città per cercare spazi e dimensioni vicini alla natura, dove per natura non intendo un concetto astratto, ma molto concreto: alberi, legno, silenzio. Ecco, direi che tra tutti il silenzio è quello che ho cercato di più e che sono riuscito a trovare a Lavarone nei periodi di bassa stagione nei boschi, tra gli alberi secolari e ai piedi dell’Avez.
Già, l’Avez del Prinzep, l’abete da cui parte questa storia e a cui anche tu, come tutti gli abitanti di Lavarone, eri molto legato.
Che effetto fa sapere che adesso questo albero sarà il padre degli strumenti di ANIMA, il progetto che prevede la costruzione di un quartetto d’archi con il suo legno, nato in collaborazione con il Comune di Lavarone?
È sicuramente una grande emozione e il modo per dare a questo albero, che tanto ha significato per la storia di quel territorio, il riconoscimento che merita. Ho scoperto che l’Avez era caduto spontaneamente (in termine tecnico si dice “schiantato”) al bar di Villa Lagarina leggendo il giornale. Un mese dopo ero lì per una breve vacanza e ho avuto la possibilità di assistere a una conferenza sulla vicenda dell’Avez tenuta da Damiano Zanocco, il custode forestale, in cui si cercavano idee per utilizzare il legno dell’abete e dargli una nuova vita. Le ipotesi, che andavano dalle montature per occhiali alle penne di pregio, non mi sembravano sufficientemente adeguate per rendere omaggio a un albero che era stato così importante per la comunità, quindi a fine conferenza ho deciso di presentarmi e di proporre un’altra idea: “Credo che realizzando degli strumenti musicali si potrebbe dare a questo legno l’orizzonte di vita più lungo possibile”, ho detto. Ed è nato ANIMA.
Nella musica c’è vita quindi?
Certo, nel senso che c’è una grande rigenerazione: gli strumenti passano di mano in mano e durano secoli: io stesso ho uno strumento di metà ottocento di origine boema.
C’è un che di romantico secondo te in questo tipo strumenti, qualcosa che in qualche modo ricorda la quiete del bosco?
I nostri strumenti sono romantici per eccellenza. Sono anacronistici, ci rimandano a un tempo lento, profumano di resina e sono interamente realizzati con componenti naturali. Basta pensare che per la loro realizzazione si usano gli “spacchi” del tronco: non vengono tagliati con la sega elettrica, il legno deve darsi spontaneamente a un colpo di accetta. Non c’è plastica, nessun componente elettronico. Sono strumenti che definirei ancestrali: ancora oggi, per suonarli, studiamo delle gestualità che il corpo umano ripete e imita da cinquecento anni a questa parte. Vien da sé che trovano nell’ambiente naturale l’habitat perfetto per essere suonati. Suonare in mezzo al bosco è come riportarli alle loro origini.
Torniamo ad anima. Gli strumenti saranno realizzati in abete bianco anziché in abete rosso come si usa solitamente: cosa può cambiare?
Abbiamo pochissime evidenze di strumenti costruiti in abete bianco. Qualcuno ci ha provato, ma sono casi remoti che risalgono ai primordi della liuteria italiana. In vita mia non ho mai avuto occasione di intercettare archi in abete bianco. Quello che stiamo facendo ha una componente sperimentale molto importante i cui esiti ci interessano particolarmente. Possiamo aspettarci differenze per quanto riguarda il suono, il timbro, l’intensità e il volume. Indipendentemente dalla resa del suono comunque, resta il fatto che un intero quartetto con tavole armoniche dello stesso albero è molto raro da trovare e ha un valore inestimabile.
Chi suonerà questi strumenti?
Attualmente il proprietario è il Comitato per la Valorizzazione dell’Avez del Prinzep, un’associazione nata in seno al Comune di Lavarone. Potranno essere affidati a professionisti o a qualche studente meritevole del Trentino. Oppure prestati a quartetti prestigiosi che decideranno di fare un concerto con questi specifici archi. Quello che mi auguro è che all’inizio vengano suonati tanto, in modo che possano “aprirsi”, passando da una condizione statica a una dimensione sonora di vibrazione attraverso lo scorrimento dei crini. Tra qualche secolo potrà esserci spazio anche per qualche collezionista.
Perché proprio il nome ANIMA?
Anima è il nome di una componente interna degli strumenti ad arco, un cilindro alto e sottile che il liutaio inserisce durante la lavorazione e mette in collegamento il piano armonico col fondo. Viene incastrato, dopo essere stato lungamente limato, passando attraverso le f, ossia i fori di risonanza. Un’anima che non si vede ma c’è, che fa vibrare lo strumento e fa giungere a noi il suono. Inserire l’anima è l’ultimo atto, è come mettere la propria firma sullo strumento; contribuisce alla sua tenuta, fa da colonna portante e trasmette la vibrazione.
Qual è futuro di ANIMA, se possiamo chiederti delle anticipazioni?
Anima è destinato a diventare un percorso espositivo curato dal Muse e che vedrà la luce nell’inverno 2023/2024. Abbiamo previsto poi uno spettacolo che prenderà vita nel corso delle prossime stagioni. E poi chissà quali e quante altre cose. Perché quest’albero, in cui forse – devo ammetterlo – ho lasciato anche la mia di anima, non può e non deve essere dimenticato.